Claudio Gobbi

ZH 09 (MAXXI, MUSEUM OF 21st CENTURY ARTS, ROME, 2009)

Non ho mai troppo amato le fotografie di cantiere, forse perché sono sempre stato attratto più dalla permanenza che dalla transitorietà, dalla pelle e dagli oggetti di un luogo piuttosto che dalle sue viscere. La possibilità di immaginarlo completamente e la libertà che ne deriva da un frammento apparentemente privo di storia costituiscono l’attrattiva maggiore, il suo potere di seduzione e finzione. Significa pensare un luogo come un palcoscenico in attesa di aprirsi sul proprio tempo, come un’immagine imprevedibile del nostro paesaggio futuro o come un relitto dal passato glorioso, destinato ad altre sembianze e ad una nuova identità. *

Privilegiando una visione di interni Gobbi ha fotografato teatri, vecchi cinema e circoli culturali del secolo scorso in un percorso che dall’Europa occidentale porta ad est fino in Caucaso. Nel fotografare questi ambienti destinati alla fruizione pubblica ma privi di ogni traccia umana, l’autore introduce una dimensione di sospensione, di irrealtà, che mira a oggettivare i luoghi in una sorta di finzione degli spazi reali. E’ un processo di concettualizzazione che il fotografo mette in atto grazie a un sapiente dosaggio degli elementi visivi della rappresentazione, dando luogo a immagini algide, di raffinata eleganza formale. Alla base del suo lavoro c’è un intento di carattere sociologico: nel mettere a punto come degli inventari Gobbi introduce una riflessione sulla storia, sulla memoria collettiva, alla ricerca di un sostrato comune e di una comune identità europea, interrogando al tempo stesso le nostre molteplici eredità culturali. **

* From the exhibition catalogue: Cantiere d’Autore. Electa 2010

** Francesca Fabiani, from the catalogue: MAXXI ARCHITETTURA. Fotografia. Le collezioni. Electa 2010